martedì 24 novembre 2009

Il diritto a morire di chi non è cosciente.

Dopo tanto tempo mi riaffaccio su questo blog.
Mi ero riproposto sin dopo la morte di papà di tener vivo questo angolo della rete con considerazioni sulle problematiche relative al coma ed allo stato vegetativo.
Ho aspettato tanto, forse troppo, visto che sul piatto legislativo giacciono i progetti di legge relativi alle dichiarazioni di cura anticipate ed all'uso delle terapie del dolore che mertiano sicuramente degli approfondimenti.

Oggi, però, mi ha colpito questo articolo de "La Repubblica"

Come si può leggere nell'articolo, la "vittima" dell'errore non era in coma ma immobbilizzata.
Poichè, però, non riusciva a comunicare e dunque per la GSC era in stato vegetativo, si parlava di paziente in stato vegetativo persistente.

Quello che mi preme sottolineare è che questo caso dimostra ancora una volta, come se ce ne fosse bisogno, che valutiamo lo stato di coscienza del paziente in stato vegetativo in base alla misurazione delle risposte del paziente stesso.
Semplificando e brutalizzando la questione è come se facessimo un test su di una scatola per verificarne il contenuto senza aprirla e deducessimo dall'asenza di segnali provenienti da essa che la scatola sia vuota.

Basta dunque questo per dire che una persona è senza coscienza? Che non sente nulla?

Il problema è spinoso e delicato anche perchè su questo filo del rasoio - anche semantico - si gioca la vita dei pazienti ed il loro diritto ad una cura.

Perchè, non scordiamo, che se c'è un diritto ad evitare l'accanimento terapeutico, una società veramente solidale dovrebbe anche garantie il diritto all'assitenza sanitaria per quei pazienti difficilmente recuperabili, come spesso sono i pazienti in uscita da un coma soprattutto se protratto nel tempo.